Il terremoto
Deh, qual possente man con forze ignote
il terreno a crollar sí spesso riede?
Non è chiuso vapor, come altri crede,
4né sognato tridente il suol percuote.
Certo, la terra si risente e scuote
perché del peccator l’aggrava il piede,
e i nostri corpi impazïente chiede
8per riempir le sue spelonche vote.
È linguaggio del ciel che ne riprende
il turbo, il tuono, il fulmine, il baleno;
11or parla anco la terra in note orrende,
perché l’uom, ch’esser vuol tutto terreno,
né del cielo il parlar straniero intende,
14il parlar della terra intenda almeno.
il terreno a crollar sí spesso riede?
Non è chiuso vapor, come altri crede,
4né sognato tridente il suol percuote.
Certo, la terra si risente e scuote
perché del peccator l’aggrava il piede,
e i nostri corpi impazïente chiede
8per riempir le sue spelonche vote.
È linguaggio del ciel che ne riprende
il turbo, il tuono, il fulmine, il baleno;
11or parla anco la terra in note orrende,
perché l’uom, ch’esser vuol tutto terreno,
né del cielo il parlar straniero intende,
14il parlar della terra intenda almeno.
Ciro di Pers è uno dei più esperti e sinceri fra i poeti del Barocco. Nato nel 1599 salla famiglia dei signori di Pers, passò gran parte della sua vita a San Daniele del Friuli come cavaliere di Malta. I temi del poeta sono vari e disparati: il canzoniere raccoglie sonetti di carattere amoroso e encomiastico, descrizioni di oggetti e di fenomeni naturali , ma anche canzoni da alti toni moraleggianti. Non è raro che la riflessione di Ciro si soffermi spesso sulla tragedia umana e sulla pesantezza della vita, nonchè sulla miseria e la vanità del vivere. Altre rime invece sono argute e immaginose, con alcuni caratteri popolareschi.
Non è specificato a quale terremoto faccia riferimento il poeta, certo è che durante tutto il Seicento si verificarono una serie di terremoti in tutta Italia e in particolare in Calabria; il sonetto non si pone come una descrizione del fenomeno naturale in quanto piuttosto ne ricerca le cause già dai primi due versi. Il terremoto è una sorte di punizione divina per l'uomo incapace di volgersi alle cose celesti e concentrato solamente su quelle terrene; c'è però anche una polemica riguardo il modo di vivere in quanto gli uomoni sembrano non ascoltare neppure la terra.
Al sonno
O sonno, tu ben sei fra i doni eletti
dal ciel concesso ai miseri mortali;
tu l’agitato sen placido assali
4e tregua apporti ai combattuti affetti.
Tu d’un soave oblio spargendo i petti,
raddolcisci i martir, sospendi i mali;
tu dái posa e ristoro ai sensi frali,
8tu le tenebre accorci e l’alba affretti.
Tu della bella Pasitea consorte,
tu figliolo d’Astrea, per te paro
11van fortuna servile e regia sorte.
Ma ciò che mi ti rende assai piú caro
è ch’all’orror dell’aborrita morte
14io col tuo mezzo ad avvezzarmi imparo.
dal ciel concesso ai miseri mortali;
tu l’agitato sen placido assali
4e tregua apporti ai combattuti affetti.
Tu d’un soave oblio spargendo i petti,
raddolcisci i martir, sospendi i mali;
tu dái posa e ristoro ai sensi frali,
8tu le tenebre accorci e l’alba affretti.
Tu della bella Pasitea consorte,
tu figliolo d’Astrea, per te paro
11van fortuna servile e regia sorte.
Ma ciò che mi ti rende assai piú caro
è ch’all’orror dell’aborrita morte
14io col tuo mezzo ad avvezzarmi imparo.
Questo sonetto è dedicato al sonno ed è particolarmente interessante perchè riprende un topos letterario, ovvero il rapporto di somiglianza tra sonno e morte. Infatti il sonno non solo concede il riposo dagli affanni, dai mali e dalle preoccupazioni ma è anche anticipazione della morte. Ciro di Pers riprende e quasi riscrive un sonetto di Michelangelo (102) ma anche un'ottava dell'Orlando Furioso (XXXIII, 64). Questo sonetto sarà sicuramente presente al Leopardi, che era un conoscitore fine di Ciro, nella composizione dell'Operetta morale "Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie".
Il cacciatore di archibugio
Solo e notturno uccellator tonante
chiama l’usato can, la fune accende;
cinto di grave cuoio il piede errante,
4laberinti palustri e cerca e fende.
Immoto al fin su riva ascoso attende
tra soffi d’aquilon lo stuol volante,
ch’alla valle s’invola e al mar si rende,
8mentr’a l’aurora il dí bacia le piante.
Vibra Giove alle fère unico un telo,
ma questi a lo scoppiar d’un colpo solo
11mille alati cader fa al flutto, al gelo.
Che piú? s’ei può, stringendo un dito solo,
trar fulmini dall’acque, augei dal cielo,
14far il piombo volar, piombar il volo!
Di carattere totalmente diverso rispetto ai precedienti sonetti, questo componimento è la descrizione di un tipo: il cacciatore con l'archibugio. La poesia barocca spesso indugia sulla descrizione delle cose semplici o di quelle curiose che fino a quel momento non erano entrate a far parte del discorso poetico. Ciro di Pers quindi descrive qui un cacciatore che durante la notte caccia nel bosco con il suo archibugio. La prima strofa è una descrizione delle azioni del cacciatore. All'immobilità della seconda quartina, in cui è descritto l'appostamento del cacciatore, si contrappone la prima terziona le cui parole non sono prive di un'intento onomatopeico, soprattutto al verso 10. Il sonetto si conclude con la costatazione della rapidità del gesto del cacciatore, paragonato al fulmine.
Per certi aspetti anche l'intento degli Annes de pellegrinage di Liszt può essere definito barocco; il musicista infatti durante il viaggio in Svizzera e in Italia compone questi pezzi che descrivono luoghi visitati, oggetti visti, situazioni vissute. D'altra parte la scrittura pianistica è fortemente evocativa e spesso eccessivamente ricca, anche se spesso sono raggiunti momenti di alta riflessività. Certamente questo modo di comporre è anche anticipatore dell'impressionismo musicale e artistico.